Nepal. Occhi e
profumi di oriente.
Il Nepal è per prima cosa un
viaggio in sé stessi, attraverso gli occhi della sua gente.
Gli occhi dei bambini sono
difficili da guardare, all’inizio: si è colti da una sorta di pudore
occidentale.
Sono occhi che vedono tutto,
alla fine guardarci dentro è come perdersi nel modo più bello. E’
ritrovarsi.
Perché qui la povertà è
ovunque, è nell’odore di legno bruciato, di pelle, di cenere e morte
lungo le rive di un fiume scarno.
È nelle mani sicure di
bracciali colorati ad accendere candeline votive, è nei barbieri per
strada, nelle donne cariche di pietre a
percorrere sentieri impensabili e
aspri, senza domandare, senza sognare. Eppure con la vita dentro, accanto,
dappertutto.
La felicità è qui, dove non
c’è niente. Dove tutto ciò che non si è cercato si offre
spontaneamente, da solo.
Un sadhu insegna l’inutilità
del tempo, immobile per voto e senza sconti per il suo nirvana: eppure in
lui ogni secondo è il più importante.
Una vecchia col viso di cuoio
dal sole: la sua pelle scrive millenni di storie, pronte da leggere, da
imparare.
I bambini, dieci cento mille,
bellissimi e incredibilmente sporchi di strada e vita, senza legami: loro
sono l’anima, l’amore, la forza, il
cuore pulito e semplice di un
mondo senza pubblicità.
Fotografare tutto questo non è
prendere immagini, è sentirne l’odore, viverne la vita, farsi prendere
un po’ per mano da questa gente, e
attraverso di loro e solo attraverso
di loro conoscere questo fazzoletto d’oriente.
Qui non esistono paesaggi senza
occhi neri di kajal, mani sporche di lavoro, caviglie tatuate, gesti
antichi.
Qui si è, semplicemente e con
l’impressione di essere da sempre
E la nostalgia sarà tornare,
con questa sosta nell’anima, per ritrovarsi ancora.
SILVIA
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